NON 'TIRA' PIU' IL RICCO IN TV
Repubblica —
11 giugno 1989
pagina 27 sezione: TELEVISIONE
WASHINGTON Sono tempi duri per i troppo
ricchi, alla televisione americana. Dallas, la saga degli
spietati miliardari del petrolio texani, ha perso quest' anno
tre milioni di telespettatori. Dinasty, dramma delle gelosie con
sfondo di gioielli, profumi e dollari, ha perso otto milioni di
spettatori. Tutti gli altri serials che imitavano la medesima
formula, a base di alta società, donne belle e crudeli,
imprenditori carogna, sono in crisi, hanno visto dimezzare l'
ascolto nell' arco di una stagione. Il messaggio è chiaro,
osserva il Wall Street Journal, che di soldi se ne intende: il
ricco non va più di moda, perlomeno sul video. E infatti è
probabile che i due capostipiti del genere, Dallas e Dinasty
siano giunti all' ultima replica: l' anno prossimo potrebbero
essere aboliti. La fine di un' epoca in tivù coincide spesso, in
qualche misura, con la fine di un' epoca anche fuori dal
televisore. I segni si intravvedevano già da qulche anno, dal
crollo alla Borsa di Wall Street, il tramonto di una eccessiva
spregiudicatezza negli affari, le inchieste contro gli
speculatori dell' alta finanza. Sui giornali americani non
ricorre più così spesso il termine yuppie, simbolo di una
categoria votata al più sfrenato materialismo. Lo ha detto anche
George Bush, nel discorso inaugurale della sua presidenza: è
arrivata l' ora di un' America più buona e più giusta. Nell'
America che ritrova i buoni sentimenti, la solidarietà umana e
familiare, non poteva esserci posto per il perfido Gei Ar di
Dallas. Se il pubblico si è stancato di guardare avventure e
disavventure dei super-ricchi, si limita in realtà a tornare
alle origini. Prima dell' avvento di Dallas nel ' 79, i
miliardari si vedevano assai di rado in tivù, e mai nelle soap
operas, gli sceneggiati a puntate così chiamati perché
inizialmente erano sponsorizzati da marche di saponette. I
network Usa sapevano dalle analisi di mercato che il pubblico di
questi programmi in Tv è in maggioranza costituito da classi
medie e medio-basse: perciò ritenevano che un telespettatore
stravaccato sul divano con una birra in mano davanti alla tivù,
dopo una giornataccia di duro lavoro, non avesse alcun desiderio
di guardare un mucchio di Vip che brindano con Dom Perignon sui
sedili di una Rolls Royce. Ma nel ' 78 un produttore della Cbs
pensò che il pubblico era maturo per un serial dedicato ai
ricchi. Purché fossero cattivissimi: Pensavamo che la audience
si sarebbe divertita a vedere che più la gente naviga nell' oro,
più è miserabile nell' animo ricorda il produttore. Nacque così
il clan degli Ewing, i petrolieri texani che vivono in un ranch
regale e guidano soltanto Mercedes. Il successo di Dallas fu
enorme, forse perché concepito in un' era in cui fare soldi, con
qualsiasi mezzo, sembrava di nuovo una cosa perfettamente
accettabile. Dallas generò almeno una dozzina di imitazioni, ma
dopo qualche anno ne sono rimaste solo tre: Dinasty, Falcon
Crest e Knots Landing. Il pubblico è stufo di show su riccastri
da strapazzo, nel momento in cui l' economia non va più così
bene e il deficit pubblico minaccia il nostro futuro dice
Meredith Derlin, il direttore di Soap Opera Digest, una rivista
dedicata esclusivamente a questo genere adesso c' è più
interesse per la gente normale, per quel che un personaggio
sente dentro, piuttosto che i vestiti che indossa. Così i nuovi
programmi di successo sono Thirtysomething (Trenta-e-qualcosa),
che mostra un gruppo di giovani coppie impegnate a discutere il
problema di diventare adulti, o Roseanne, una commedia
ambientata tra i colletti blu. Ma, a parziale discolpa di Gei Ar
e dei suoi imitatori, bisogna riconoscere che il pubblico
potrebbe essersi stancato dei ricchi in tivù indipendentemente
da ragioni sociopolitiche, morali o che riguardano la fine di
un' Epoca. Dallas dura da 12 anni, le altre trasmissioni da poco
meno, hanno tutte accumulato fra i 200 e i 300 episodi, una
resistenza al logorio del tempo già da record. E' quasi naturale
che adesso siano in crisi. Gli sceneggiatori non sanno più cosa
raccontare di nuovo, hanno esaurito tutte le trame, hanno fatto
andare a letto tutti con tutti. In Falcon Crest, la bella
Melissa non ha più nessun uomo da conquistare: allora si è
deciso di farla uccidere, e poi fare interpretare alla stessa
attrice una prostituta identica a Melissa. Ma sono gli
stratagemmi della disperazione. La trama delle soap-operas
subisce anche dei condizionamenti che si capiscono solo dietro
le quinte. In Dinasty, per esempio, la bionda Krystle (alias
Linda Evans) subisce un delicato intervento chirurgico ed entra
in coma. La verità è che, con lo show che perde ascolto e quindi
pubblicità, Linda Evans costa troppo. Quest' anno è apparsa solo
in 6 puntate su 22, facendo risparmiare alla produzione più di
un milione di dollari. Il coma, nel suo caso, era inevitabile.
Con altre forzature del copione, la rivale di Krystle, Alexis
(ovvero Joan Collins) è apparsa in 13 puntate su 22: un altro
milione di dollari tagliato dal budget. A forza di tagliare,
ridurre, limare, i produttori si sono accorti che tanto valeva
eliminare del tutto il programma. I ricchi in tivù costano cari:
Dallas 1 milione e mezzo di dollari a puntata, Dinasty 1 milione
e 300 mila dollari. Larry Hagman, che interpreta Gei Ar, è
pagato 150 mila dollari ad episodio, in una stagione guadagna
quasi 4 milioni di dollari (6 miliardi di lire): per lui l'
eventuale pensionamento non presenta quindi problemi. -
Enrico Franceschini di ENRICO FRANCESCHINI
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DALLAS HA DIMENTICATO LEE OSWALD
E KENNEDY
Repubblica —
25 marzo 1986
pagina 11 sezione: INCHIESTE
DALLAS - Questa è la cronaca di un sogno,
il diario di un viaggio cominciato molti anni fa in una sala
buia, nell' istante di vertigine deliziosa fra le luci che si
spengono e lo schermo che si illumina con un ruggito: Texas. Si
fa presto a dire Texas. A lasciar correre il pensiero verso il
petrolio e i buoi dalle corna lunghissime, verso cappelloni e
grattacieli alti sullo sfondo di pascoli sterminati, e poi
astronauti, chirurghi, miliardari, morti di fame messicani
affacciati alla frontiera. Si fa presto a preparare il solito
bagaglio professionale per un viaggio, i ritagli e la
documentazione che parlano di una terra dove nello stesso giorno
d' inverno può infuriare una tempesta di neve, al nord, e un
uragano tropicale al sud e sbalordire davanti alle carte
geografiche che mostrano una sagoma enorme, capace di coprire in
lunghezza da Amburgo a Firenze, e in larghezza da Parigi a
Praga, se il Texas fosse trasportato in Europa. Sembra facile
andare in Texas senza cadere nell' incantesimo di questo nome
(vuol dire ' amico' , dall' antico ispano-messicano ' tejas' )
adesso che nella prateria suona l' ora della crisi e lo stato
della "stella solitaria" arriva al centocinquantesimo compleanno
nei guai. Le brutte notizie abbondano e il quaderno degli
appunti si riempie in fretta. Scrivi: le ' piccole' fattorie di
500 ettari crollano sotto il peso dei debiti che sono in media
di mille dollari per ettaro. Il prezzo del cotone, principale
prodotto dei campi texani, crolla, mentre il consumo della
bistecca vacilla sotto i colpi delle nuove mode alimentari. I
pozzi di petrolio chiudono uno dopo l' altro, ormai a migliaia,
e due milioni di "desperados" messicani sfidano ogni giorno alla
frontiera i 3.000 poliziotti della "border patrol", la pattuglia
di confine, per entrare illegalmente in terra americana e morire
disidratati sotto il sole, o annegati nelle rapide del Rio
Grande. Annota: la terra vale moltissimo in teoria e niente
nella pratica, perchè non ci sono compratori e i "farmers"
accumulano debiti contro un capitale inesistente. I rapporti
degli sceriffi di contea raccontano di agricoltori barricati in
casa con fucili e munizioni, decisi a morire, a uccidere,
piuttosto che arrendersi all' ufficiale giudiziario che viene a
pignorare la fattoria. Grandi cartelloni stradali pubblicizzano
armi e munizioni, come da noi aperitivi e lubrificanti: nell'
edicola di un paese di confine, Zapata, conterò sugli scaffali
18 settimanali di armi e munizioni, tre volte più numerosi delle
riviste porno. Domanda: meglio sparare che fottere, in Texas? E'
tutto vero. Ma quando finalmente ci si mette in cammino, l'
itinerario della ricerca porta in posti che si chiamano Laredo,
Abilene, El Paso, e il sogno ricomincia a grattare alla porta.
Camminerai sulle onde di un fiume veloce e fangoso che si chiama
Rio Grande e il cui nome rimbomba nella memoria come una colonna
sonora di Dimitri Tiomkin. Vedrai le mura di Alamo, passeggerai
nel ranch inesistente eppure visibile di Jr a Dallas, e a questo
punto il percorso giornalistico comincerà ad attorcigliarsi con
i ricordi, a saldarsi con il ragazzo che credevamo di aver
lasciato nel "matinèe" dei cinema, due film cento lire, e così
andare in malora. Ma sì, ma che ci importa del gettito del
petrolio o del prezzo della terra, quando passeggi con l' ombra
di Richard Widmark ad Alamo, quando lo spettro di John Wayne ti
copre le spalle ad Abilene e le strade sono davvero
perpendicolari, assolate e deserte nelle "ghostowns", le città
fantasma, come le vedevamo dalle sedie del cinema. Chi ha più
voglia di annotare che i prezzi delle abitazioni sono crollati
del 40 per cento in un anno, quando in tutti gli angoli di
questo stato-continente ti insegue il profumo del "barbecue"
arrostito sul legno aromatico di mesquite, e guidi l' auto come
un vecchio cavallo, la testa ciondolante per centinaia di
chilometri di rettilineo sempre uguale fra un cielo in
cinemascope e pascoli illimitati? Si fa presto a dire Texas, ma
il Texas ti frega, perchè congiura con i ricordi e i sogni e il
ragazzo ancora seduto sulle panche del cinema. Se il sogno non
vi interessa, non vi interessa il Texas e questo diario di
viaggio, scusate, non è per voi. Dallas, per esempio, da dove
occorre necessariamente partire. Fra le due parentesi del sangue
vero e del sangue al pomorodo, fra Jfk il presidente e Jr il
personaggio, sta racchiusa una città di tre milioni di persone,
splendente di ricchezza, di cafoneria, di avventura, di rimorsi,
una nuova Babylon di alberghi faraonici che sembrano costruiti
col marzapane. Qui l' economia di mercato è esplosa, ed è
divenuta economia di scommessa. La gente punta miliardi sul
bulldozer, come altri puntano sulla roulette. Il solo piano
regolatore è il profitto. Il solo limite all' audacia sono l'
immaginazione e la spregiudicatezza. Fra le parentesi della
violenza reale e della violenza video, Dallas prospera. E' più
vero il proiettile che colpì Kennedy o quello che non colpì
Larry Hagman l' attore, davanti a 450 milioni di case, in 24
nazioni? Hanno chiesto a mille "teen agers" americani che cosa
rievochi in loro il nome Dallas: 930 hanno risposto sicuri: Jr.
Tento di ribellarmi alla tirannide della confusione onirica, al
ricatto del ragazzo che mi chiama dal cinema. Vado sulla piazza
del Kennedy Memorial per ritrovare i luoghi di una tragedia
vera, che mi strappi all' ipnosi di questa città di dollari
facili e zucchero filato. E' l' ora del "break", quando gli
impiegati del quartiere escono dagli uffici e siedono sotto il
sole del mezzogiorno, senza ombre di grattacieli. Al centro
della piazza sta il quadrilatero di cemento eretto dall'
architetto Phil Johnson a ricordo di quel giorno di novembre, ma
sta tutto solo come una presenza estranea e indifferente. Se
qualcuno ci entra, è di certo un turista, o una "bag lady", una
barbona che viene a fare l' inventario delle sue "trouvailles".
I texani non ci mettono mai piede. Una lastra di marmo nero,
nascosta accuratamente alla vista, porta a lettere d' oro il
nome del presidente, John Fitzgerald Kennedy. Era il 17 marzo,
quando l' ho visitato, la festa di Saint Patrick, irlandese come
lui, e qualcuno aveva messo tre tulipani gialli sul marmo. Il
monumento celebra il senso di estraneità totale, di separazione
che Dallas prova per quel giorno, che pure ne rese il nome
celebre nel mondo. Un rifiuto visibile nello sviluppo della
città, nel modo in cui la voracità speculativa del centro di
Dallas ha escluso la zona dove Kennedy fu ucciso. A cento passi
dal Memorial, all' incrocio fra Elm Street e il sottopassaggio
stradale di Commerce Street, c' è il vecchio deposito di libri
dal quale partirono i colpi, ancora intatto, che ospita adesso
uffici amministrativi della contea di Dallas. E' lo stabile più
antico, con i suoi venerabili 50 anni di vita, di tutto il
centro. Una società che venera il piccone ha arrestato il suo
metabolismo urbano in questo luogo. Il quartiere è silenzioso, i
passanti rari. Le macchine non possono fermarsi, perchè la sosta
è ovunque vietata e scivolano via in fretta, col flusso e
riflusso dei semafori. I pochissimi turisti (c' è una famiglia
di indiani, ci sono quattro ragazzi olandesi e io) si aggirano
cercando di ricostruire da soli i luoghi, le traiettorie, la
meccanica. Alla fine ci ritroviamo tutti davanti al palazzo di
Oswald, a guardare dalla prospettiva dell' assassino le auto che
ripercorrono milioni di volte il tragitto della limousine
presidenziale, gli occhi irresistibilmente attratti dalle nuche
di ignari automobilisti di passaggio, come il mirino di Oswald
si fissò sulla nuca di Jfk. Il quartiere dell' assassinio
Kennedy è stato spinto in un' altra dimensione spazio-temporale:
è storia, ma è diventato finzione. Dallas lo ha incistato e lo
ignora. Così può fare in pace lo shopping nel grande magazzino
più stravagante e costoso d' America, il "Nieman Marcus" dove si
vendono penne stilografiche da 10 milioni, e fermacarte
tempestati di brillantini per 350. Si diverte a formare "vulture
funds", i "fondi sciacallo" organizzati in fretta dai ricchi per
rastrellare gioiosamente a una frazione del valore le case dei
texani colpiti dal crack del petrolio e dell' agricoltura. Non
vuole ricordare la limousine ' 63 nera, lugubre, che corre via
verso l' ospedale, ma adora le Ferrari. Ce ne sono ben mille che
circolano a Dallas, forse un record. Le cura un
meccanico-sacerdote, tale Rockwood, che domanda 30 milioni l'
anno di parcella per occuparsi della macchina. Nei ritagli di
tempo ridisegna parti del motore, violentando, con l' ossessione
americana del "nuovo e migliore", proprio quel mito
tradizionalista che gli fa amare Ferrari. Rompe anche l' anima a
Maranello con proposte di modifiche che freddamente la Ferrari
ignora. L' Europa si gusta golosamente i martiri. Il Texas li
butta. Questa non è la città di Kennedy, ma degli Hunt, gli
"orsi d' argento", i fratelli che cercarono di controllare il
mercato mondiale dell' argento e oggi investono in alberghi che
orrendamente scimmiottano i palazzi di Mansard a Versailles.
Pretende di essere la città più colta, raffinata dello stato, e
certo la gente è di una cordialità solare, sincera, ma vanta più
tele di impressionisti francesi in collezioni private di quante
gli impressionisti ne abbiano mai dipinte. Le vecchie madonne
texane cariche di gioielli e di catene d' oro che scendono dalle
Rolls Royce color crema per un "lunch" al "Warsawa", il miglior
ristorante polacco (polacco?) del mondo, si considerano l'
aristocrazia, il sangue blu della marca texana. Sorseggiando
vodka Wyborowa, che fa tanto solidarietà con le vittime dei "damn
communists" in Polonia, le mogli dei "bulldozer" chiacchierano
malinconicamente di servitù messicana irrequieta e piena di
pretese, a 1 dollaro e mezzo l' ora. Dovrò uscire dall'
atmosfera irreale e angosciosa del centro, guidare per una
cinquantina di chilometri verso i sobborghi nord, per cercare di
sfuggire dall' immaginario di questa metropoli di marzapane e
amnesie. Su una strada che si chiama Parker Road, a un bivio tra
case di suburbia che hanno tutte lo steccato per il cavallo a
fianco del garage per la Ford, incontro finalmente l'
indiscutibile verità: il ranch di "Southfork". E' la fattoria
dove girano la "Dallas" autentica, che è quella del telefilm.
Centinaia di fedeli sbarcano dai pullman e dalle auto ogni
giorno, pagano 5 dollari d' ingresso per visitarlo, e quei 5
dollari sono più reali, sono più soldi dei 500 milioni di
dollari ereditati lo scorso anno da uno dei ragazzi Perrot, la
famiglia più ricca del posto. Entro con rispetto nel luogo sacro
dove è apparso alle folle Jr. Ecco il suo tavolo di lavoro, dice
la guida ai turisti che si ammassano, e indica uno scrittoio
ricavato dentro un vitello di legno intarsiato, comprato da "Nieman
Marcus" per 65 mila dollari, 100 milioni di lire. La gente non
si scandalizza affatto e perchè dovrebbe? Jr ha più
telespettatori che la messa di Natale del papa. Osanna: il ranch
di "Dallas" è una finzione assoluta, perfetta, e dunque
incontestabile. Stalloni, fattrici e una dozzina di puledrini
brucano e giocano nei grandi prati verdi fra gli steccati che le
lenti grandangolari degli operatori tv fanno apparire anche più
vasti. Nelle sere in cui non si girano i telefilm, chiunque può
prendere in affitto il ranch e organizzarvi feste private, per
60 milioni di lire, in compagnia di sosia dei personaggi di
Dallas che si mescoleranno graziosamente agli ospiti. Una grande
stanza da letto color salvia (e col bidet francese, mormora la
guida arrossendo) occupa da sola l' intero primo piano della
casa, ed è a disposizione di ospiti che siano disposti a pagare
5 milioni per una notte. Nessuno vive in questa fattoria del
nulla, e anche i cavalli vengono portati via quando i visitatori
se ne vanno. Il nuovo proprietario, un uomo d' affari chiamato
Teddy Trippet, l' ha comperata due anni fa dal costruttore, un
ranchero che si chiamava proprio Jr per 15 milioni di dollari,
23 miliardi. Gli operatori della Lorimar Productions, la casa
che produce "Dallas" ci vengono un mese all' anno, per gli
esterni. Anzi, l' èquipe era qui pochi giorni fa, ci informa la
guida, per filmare uno speciale di tre ore su "Dallas, the early
years", gli albori della famiglia di Jr e del ranch di
Southfork, "dagli anni 30 agli anni 50". Conosceremo così la
preistoria di Dallas, vedremo Jr da piccolo, e il suo papà da
giovane, e avremo la prova finale dell' assurdo, come Alphonse
Allais che teneva fra le mani il teschio autentico di Voltaire
bambino. I visitatori, noi tutti, camminiamo in silenzio nelle
stanze, fra i sentieri del ranch, evitiamo di calpestare l'
erba. Nessuno ride, nessun incide il nome o un cuore sul legno
delle staccionate. Il profilo della Dallas finta, quella dei
grattacieli, dei bulldozer e di Lee Oswald è lontanissimo, ormai
inoffensivo: siamo finalmente al sicuro dentro il sogno,
riconciliati, io e il bambino del cinema buio. Purtroppo dura
poco: come nella tomba di Lenin sulla Piazza Rossa, anche dentro
il ranch di Jr è rigorosamente vietato soffermarsi. Entrare,
sognare, uscire, prego. Nell' intervallo, però, è permesso
mangiare un cremino. -
dal nostro inviato VITTORIO ZUCCONI
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